Big Data: opportunità o nuova frontiera della disuguaglianza?

6 Aprile 2022

 

Dal 1980 la capacità di immagazzinamento dei dati raddoppia ogni 40 mesi. Solo nel 2020 sono stati creati 65,2 Zettabytes di dati, rappresentando un incremento percentuale del 314% su base quinquennale.

 

Il motivo principale di questo incremento è dovuto sicuramente alle misure di controllo necessarie al contenimento della Pandemia di COVID-19, ma non solo. Infatti, è necessario tener presente che la gran parte di questi dati vengo acquisiti passivamente, senza che ci sia una effettiva volontà di crearli. Sono quelli che vengono chiamati Data Exaust, ovvero quelle informazioni che un utente si lascia dietro nello svolgimento delle proprie attività. Questa  traccia, molto spesso, contiene informazioni personali di carattere particolare, come quelle derivanti dall’utilizzo dei sistemi Biometrici necessari per interagire con i nostri Smartphone o Tablet.  

 

Cosa sono i Big Data e a cosa servono.

In una società sempre più veloce, l’implementazione di decisioni deve essere altrettanto rapida e responsiva ai cambiamenti esterni. Nel mondo di oggi, ogni organizzazione, per essere altamente competitiva, deve essere “Data Driven”, ossia guidata dai Dati. Quindi, il possesso e l’utilizzo dei Big Data assume un valore fondamentale al fine di prevedere gli andamenti e prevenire le problematiche, fornendo di conseguenza anche un vantaggio strategico a chi li possiede.

Che i dati siano riferiti ai cambiamenti climatici o al comportamento delle masse sociali poco conta. Prevenire carestie, selezionando il tipo di coltura da piantumare, o rendere la propria attività di marketing più efficiente e i propri servizi più funzionali sono entrambe cose che offrono un notevole vantaggio.

Già 20 anni fa il Prof. Stefano Rodotà, allora garante della privacy, metteva in guardia sul valore dei Dati personali e sul diritto alla privacy quale il “diritto di avere diritti”, definendo le basi della legislazione moderna in ambito di protezione dei dati personali. Oggi, seppur la legislazione ha fatto enormi passi in avanti con il GDPR, si avverte un grande vuoto normativo sulla gestione del Dato Generico. Infatti, tutte le precedenti considerazioni ci portano a prevedere un forte rischio di disuguaglianza tra coloro che hanno accesso ai dati e coloro che invece ne sono esclusi.  Si può considerare anche questo un altro effetto collaterale della globalizzazione.

Le problematiche relative all’utilizzo dei Big Data non finiscono qui. Come abbiamo detto, l’analisi di questi cluster di dati permette la profilazione del comportamento di gruppi e addirittura di intere popolazioni. Questa capacità, al servizio di stati autoritari, può diventare un terrificante strumento di controllo e repressione, mettendo in seria discussione le libertà personali. Se credete che quello di cui stiamo parlando possa fare riferimento ad un futuro distopico, purtroppo vi sbagliate. Accade già, accade ora! Gli strumenti normativi non sono sufficienti e, in assenza di leggi efficaci ed accordi internazionali, la società civile non è assolutamente cosciente del problema. Per arrivare ad un cambiamento politico, come anche gli ultimi fatti di cronaca ci mostrano, è necessario un approccio responsabile e la sensibilizzazione delle persone.

Sull’analisi di questo problema vorrei consigliare la lettura di questo articolo disponibile sul sito delle United Nations che ha ispirato questa riflessione.

 

 

 

 Daniele Cerbarano

 

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